13 Gennaio 2019 | Collaborazione
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Secondo la ricerca Gallup 2018, il 70% della variazione del livello di coinvolgimento e benessere in un team è da imputare al manager, e nello specifico alla qualità del rapporto umano che egli è più o meno in grado di instaurare con i propri collaboratori.
Il recente report “State of the American Manager” afferma inoltre che:
Questi dati possono sembrare strettamente legati ai comportamenti; tuttavia di recente la neurobiologia interpersonale ha scoperto una stretta correlazione chimica tra la qualità delle azioni manageriali ed il mantenimento di un team sano e dalle alte prestazioni.
Approfondendo temi come la neuro-plasticità cerebrale e il ruolo dei neuroni specchio, i ricercatori sono giunti alle evidenze scientifiche che le emozioni, il linguaggio ed i pensieri di un singolo hanno il potere di avere un effetto, nel bene e nel male, sugli stati mentali delle altre persone. [1]
A registrare tutti questi stimoli è una struttura ovoidale che si trova nel nostro cervello: l’amigdala. Questo insieme di ghiandole è il nostro sistema d’allerta primitivo e rilascia nel corpo ormoni e sostanze chimiche reagendo ai segnali interni ed esterni che riceve ed interpreta.
Del cortisolo ad esempio, comunemente conosciuto come ormone dello stress, viene aumentata la produzione sul posto di lavoro in riflesso ad alcuni comportamenti, fra i quali:
causando danni professionali come:
Lo stress eccessivo causato da un manager poco competente provoca quindi un lento assassinio della felicità e la produttività del gruppo di lavoro. Sotto stress il cervello dei collaboratori riduce o arresta la produzione di sostanze chimiche positive, il che abbassa drasticamente le loro performance.
Per aumentare il coinvolgimento, migliorare il clima aziendale e cambiare rotta rispetto a quanto visto sopra, il manager può iniziare a stimolare la produzione di due neuro-trasmettitori specifici: la serotonina e la dopamina.
La prima governa il senso di felicità e di appagamento; la seconda si attiva con piaceri immediati e bisogni soddisfatti di ricompense. Entrambi sono neuro-trasmettitori, ma funzionano in modo molto diverso e possiamo ottenere il meglio da loro solo quando riusciamo a farli lavorare insieme.
Per iniziare a farlo, presentiamo 8 suggerimenti pratici che rivolgiamo ai manager al fine di modificare positivamente la chimica di sé stessi e del proprio team:
Queste pratiche aiutano inoltre a costruire quello che lo psicologo della Stanford University Leor Hackel definisce “senso di reciprocità“: nella sua ricerca ha scoperto che “attraverso azioni e parole empatiche coerenti, si sviluppa un senso di coesione emotiva tra le persone”.
Creare team chimicamente empatici è quindi molto prezioso per la leadership aziendale.
In altre parole, non è più sufficiente avere un manager protagonista, ma è necessario investire nella formazione di manager consapevoli e meritevoli di stima ed affetto.
I team empaticamente connessi sono infatti più intelligenti, più creativi e generalmente più efficaci perché il tutto viene sempre percepito più grande della somma delle sue parti.
E voi, quanta importanza date attualmente alla chimica dei vostri team?
Buona giornata,
Michele Prete
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