11 Marzo 2022 | Formazione
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Il mercato della crescita personale è stato valutato a 38,28 miliardi di dollari nel 2019, con una previsione di crescita annuale a tasso composto (CAGR) del 5,1% dal 2020 al 2027.
Un bel business.
Sono infatti milioni le persone che ogni anno in tutto il mondo si avvicinano e nutrono quest’industria, e le principali motivazioni che le spingono sono[1]:
A dare man forte allo sviluppo di questi trend esistono quintali di letteratura, libri e articoli di blog che parlano dei benefici di questi percorsi, di come essi possano cambiare la vita e di quanto sia importante al giorno d’oggi l’investire nella propria crescita personale e nell’automiglioramento. Di contro, poco o nulla è stato scritto su quelli che possono essere i rischi, le trappole e gli inganni che si celano dietro a un mondo che ammalia e seduce ogni giorno molte persone.
Con questo contributo desidero considerare “il lato oscuro della crescita personale”, ovvero un’analisi delle trappole e delle minacce che spesso, inevitabilmente, chi si avvicina a questo mondo può sperimentare. Dico inevitabilmente perché alcune, quando gestite con consapevolezza, possono essere funzionali al percorso stesso; mentre altre vengono ampiamente pompate dai sedicenti guru e santoni della formazione, che ne fanno la loro incantevole ragnatela.
E di una trappola, la prima volta, ce ne si rende conto quando si è dentro.
Intraprendere un percorso di crescita personale è spesso una pulsione determinata da un bisogno di fondo di mancanza: si percepisce un punto di domanda, un vuoto di consapevolezza, la necessità di avere delle risposte che possano porre fine alla transitoria sensazione di trambusto interiore. Questa predisposizione iniziale è il terreno fertile per inciampare nella più grande trappola di questa industria, ovvero l’ossessione da crescita personale.
La falsa illusione di onnipotenza, il fatto che con l’impegno e lo sforzo costante tutto possa essere controllato e cambiato, è ciò che molti percorsi di crescita personale divulgano come panacea di tutti i mali. Questo modello malsano e distorto cattura le proprie prede e le ingabbia sotto diversi punti di vista.
Trovare routine migliori, mangiare in modo più sano, fare più esercizio, essere più produttivi, più equilibrati, essere più impegnati nel lavoro con progetti nuovi, essere più attenti ad avanzare nel viaggio spirituale.
Essere di più, sempre, all’infinito.
Questa costante ricerca di miglioramento cela in sé un presupposto molto pericoloso: non vado bene come sono ora e difficilmente andrò bene in futuro. Mancando di accettare se stessi in toto o in parte, si spalancano le porte a chi ha per noi tutte le soluzioni.
Abili comunicatori, santoni e guru formativi conoscono alla perfezione i meccanismi che installano nelle persone la credenza di sentirsi di meno e, di conseguenza, volere di più. Spesso, infatti, i modelli e gli esempi che vengono portati nelle aule e nei seminari sono funzionali a creare nei partecipanti paragoni subdoli e di per sé insostenibili, facendoli giungere alla fine del corso con un cocktail letale di eccitazione, adrenalina e delirio di onnipotenza. Successivamente, passata la sbornia post corso e ritornati prepotentemente nel mondo reale, l’eccitazione e le endorfine lasciano il testimone a una crescente sensazione di disagio.
Che cosa sto sbagliando? Perché non funziona con me? O forse sono io che non funziono?
Spinti dal sacro mantra “puoi farcela anche tu” e da un rinnovato spirito di controllo ossessivo, ci si ritrova a monitorare ogni attimo dell’esistenza, paragonandosi continuamente a questi “totem perfetti” ed elaborando giudizi sempre più severi contro se stessi e gli altri, sull’altare di una irraggiungibile utopia.
Rendendosi conto di queste difficoltà, l’unico modo apparente per uscirne è quello di saperne di più, partecipare a un nuovo corso, sovraccaricarsi di nozioni e nuove teorie in un loop infinito che lentamente demolisce dall’interno. Si arriva a sentirsi in colpa per non essere più felici delle piccole cose e si lotta razionalmente per sentirsi pienamente presenti nel momento, all’agognata ricerca della fuggevole felicità.
A questo proposito, uno studio di Iris Mauss dell’Università della California[2], ha dimostrato che inseguire la felicità la fa scappare. Questa ricerca ha fatto chiaramente emergere la correlazione tra l’inseguire qualcosa e l’essere insoddisfatti di ciò che si ha al momento.
Questo significa che ogni spinta al miglioramento è sintomo di tossicità?
No, significa che quando una pulsione migliorativa diviene ossessione, si distanzia dal suo fine iniziale e annulla la serenità di vivere il percorso di crescita. Il pensare che “solo al raggiungimento del prossimo obiettivo, finalmente si raggiungerà la felicità” fa perdere il contatto con il momento presente. Questo, oltre a inibire le facoltà di apprendere da ciò che accade, priva della percezione del bene che già esiste. Paragonando incessantemente le performance attuali al risultato che si sta perseguendo, si rischia d’innescare un loop di giudizio devastante: l’errore, componente essenziale di ogni apprendimento, viene demonizzato ed evitato il più possibile; il fallimento, e quindi il mettere in discussione la bontà stessa del percorso, diviene totalmente inconcepibile.
A nessuno piace avere torto, soprattutto su di sé e sulle proprie decisioni. Questo fenomeno, che descrive la predisposizione delle persone a sostenere le informazioni che confermano le proprie ipotesi, convinzioni e preconcetti, indipendentemente dall’attendibilità degli stessi, viene denominato bias di conferma[3].
Intrappolati in questo errore del pensiero e nel loop giudicante della crescita personale, il perseguire con ritmo incessante le tappe forzate che ci si è imposti diventa un sabotaggio quasi impercettibile dal cervello. Si è convinti di essere nel giusto e, selettivamente, si interpretano in modo distorto le informazioni facendo sempre maggiore difficoltà a metterle in discussione. Lo scollegamento dall’ascolto dei bisogni profondi crea una maschera impenetrabile che giustifica, ad esempio, il partecipare a decine di corsi senza mettere in pratica nulla di quanto appreso.
L’importante è farne, e farne il più possibile, collezionare loghi e attestati che alimentano i nostri bias che dolcemente ci sussurrano: “anche se non stai applicando nulla, stai facendo tanto per la tua crescita personale, sei sulla buona strada, continua così!”.
Lavorare su di sé significa agire e, allo stesso tempo, significa farlo con la consapevolezza che l’essere umano è una tavolozza di migliaia di sfumature e bisogni che spesso nemmeno conosce. Quando un percorso di crescita è più incentrato sulla tabella di marcia che non sul vero ascolto dei bisogni di chi lo intraprende ecco che lì, dietro l’angolo, si cela l’ombra di una grande trappola.
Accettare significa osservare quanto più possibile in modo oggettivo ciò che accade in questo momento, e integrarlo senza sovraccarico di giudizio. Ragioniamo sui nostri comportamenti, sul nostro modo di comunicare e sul nostro percorso di crescita personale: quanto siamo in grado di accettare il fatto che possiamo sbagliare? Che ci saranno delle parti di noi che ci piaceranno di meno e con le quali possiamo serenamente convivere? Che il percorso di crescita non è un percorso lineare, ma è una spirale evolutiva che, se intrapresa con gioia, ci allontana dal delegare la felicità al raggiungimento di un obiettivo e ci permette sempre più di respirarla in ogni momento che viviamo?
Qualunque sia il percorso che si sta intraprendendo, il più profondo e importante lavoro che possiamo fare è conoscere, attraverso l’ascolto profondo, il modo con il quale la nostra mente ha imparato a funzionare. Il viaggio dentro di sé, dentro i propri bias comportamentali, dentro le euristiche di pensiero e le convinzioni inconsce, ci supporta nel conoscerci e nel saper individuare ciò che è vero o meno per noi.
Le trappole non vanno temute perché, come ogni errore, ci dicono dove siamo in questo momento nel nostro percorso di crescita. Esse ci donano un’informazione che, se utilizzata con consapevolezza, ci può portare non solo ad accrescere la nostra esperienza, ma anche a scardinare processi mentali distruttivi, avere strumenti per difenderci dai manipolatori seriali e avvicinarci alla nostra essenza ogni giorno in modo ecologico e amorevole.
Scardinando i meccanismi del perfezionismo e del giudizio dentro di noi possiamo osservare il mondo con occhi più consapevoli e contribuire, oggi più che mai, a limitare la crescita di questi aspetti anche nella loro naturale ridondanza sociale.
Buona giornata,
Michele Prete
[1] https://www.grandviewresearch.com/industry-analysis/personal-development-market
[2] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3160511/
[3] https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2021.06.29.450332v1
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